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Spiritualità

Pentecoste: perché ci viene donato lo Spirito Santo?

Paolo Emanuele · 10 anni fa

Perché lo Spirito Santo ci è donato? Una prima risposta ci può essere suggerita da S. Ireneo: «[Lo Spirito Santo] realizzava in essi la volontà di Dio e li rinnovava facendoli passare dalla vecchiaia alla novità di Cristo» [Adv. Haer. III, 17, 1].

L’apostolo Paolo scrivendo ai cristiani di Corinto aveva detto: «se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove» [2 Cor 5, 17]. è lo Spirito Santo che ci inserisce in Cristo, che ci unisce a Lui non solo in senso morale, ma reale: il nostro io sussiste in Cristo. Questo ce lo ricorda San Paolo in un suggestivo passo della Lettera ai Romani: «se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene» [Rom 8, 9]. Grazie alla Pentecoste, viene introdotta nella nostra storia personale e nel nostro io una forza rinnovatrice, perché Cristo, colui che fa nuove tutte le cose, ha un grande desiderio: venire ad abitare in noi. Condizione fondamentale per accogliere Cristo che viene a visitarci con il Suo Spirito è rinunciare ad essere “isola”, a pensare: “io basto a me stesso”. Nessuno di noi, investito dalla novità di Cristo, vive isolato. Ciascuno è inserito in molteplici relazioni: il nostro è un io – in – relazione. Sono le relazioni create dalla nostra affettività: coniugale, genitoriale, amicale. Sono le relazioni create dal nostro lavoro, nel senso più ampio del termine. Sono le relazioni costituite dalla nostra appartenenza alla stessa città, alla stessa nazione, al medesimo Stato. Desiderio dello Spirito è sicuramente una rigenerazione del nostro io, che rinnova anche le nostre relazioni. O meglio: ha la forza di prendere corpo nella nostra affettività, nel nostro lavoro, nel nostro quotidiano. Crediamo in questo? Crediamo o no a quanto riferisce il Signore nel S. Vangelo: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra.» [Mt 28, 18]. Riconosciamo in Lui l’onnipotenza, o noi stessi lo rendiamo impotente? Volendo creare un piccolo vocabolario della Pentecoste, ai primi posti troveremmo sicuramente tre parole con il prefisso Ri: (ri)generazione, (ri)nnovamento, (ri)nascita. Perché? prima di tutto perché fra il primo inizio e tutta la storia dell’uomo, cominciando dalla caduta originaria, si è frapposto il peccato, che contraddice la presenza dello Spirito. Lo ricorda S. Paolo che nella prima lettura dell’Ufficio Divino di questa Solennità scrive come, proprio a causa del peccato, «la creazione … è stata sottomessa alla caducità … che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto» [Rom 8, 20. 22]. La sottomissione alla caducità è drammaticamente presente anche oggi. Quante volte l’affettività umana è estenuata al punto da essere incapace di creare relazioni stabili; il lavoro umano è considerato alla stessa stregua e della stessa natura degli altri fattori della produzione economica; i vincoli della cittadinanza sono pensati o vissuti come regolamentazione di interessi ed egoismi opposti. La soluzione, o almeno un tentativo? Torniamo a considerare la realtà più preziosa della creazione visibile, l’uomo, scendendo in quelle profondità che esprime con la parola “cuore”. Non dimentichiamoci che proprio nel cuore sussiste quel gemito, che si fa intercessione: l’intercessione dello Spirito che in noi geme nei dolori del parto della nuova creazione. Come possiamo fare nostro questo gemito? Come possiamo far nascere la nuova creazione? La nuova creazione, di cui ognuno di noi è testimone, è in primo luogo la novità nel modo di pensare, cioè di guardare, capire e valutare la realtà. «Ora noi abbiamo il pensiero di Cristo» [1Cor 2, 16], dice l’Apostolo. è per questo che l’atto educativo, l’introduzione di una persona nella realtà è la nostra principale chiamata missionaria. Concludo con una preghiera per tutti Noi: Che il Signore ci doni di generare cultura o la creazione non sarà mai liberata dalla sottomissione alla corruzione; cultura dell’affettività, cultura del lavoro, cultura della cittadinanza. Che la Santissima Trinità ci renda capaci di essere i testimoni di una vita affettiva capace non di episodi transitori, ma di una storia d’amore; di un modo di lavorare che del lavoro mostri la vera dignità; di una cultura della cittadinanza che sia vera condivisione e passione per il bene comune.