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Cultura e Società

Lamezia/ Don Giacomo Panizza, tra gli ospiti di Trame 5, il festival sulle mafie, è intervenuto sul tema “Contro le mafie armati di Vangelo”

Paolo Emanuele · 9 anni fa

<>. E’stato questo uno dei temi affrontati sul palcoscenico di Trame 5, il Festival dei libri sulle mafie, svoltosi a Lamezia Terme dal 17 al 21 giugno 2015 e dedicato quest’anno “ai giovani favolosi”.

L’occasione per affrontare questa tematica è stata offerta dalla presentazione del libro di don Giacomo Panizza, fondatore a Lamezia della Comunità , <> (EDB). Con Panizza anche Roberto Mistretta, autore del libro <> (Paoline Editoriale Libri). Ambedue hanno risposto alle domande di Nadia Donato (City One).

Panizza, che oggi può essere definito uno dei preti in prima linea contro la criminalità organizzata, alla domanda della coordinatrice “Ma chi te lo fa fare?”, ha risposto senza esitazione: “Se nella vita c’è paura, poco o tanta, è una vita lo stesso. Le paure dai mafiosi non possiamo pensarle più pesanti dei guai che ci sono. Non riesco a dire: oltre ad aver paura sono vigliacco; e allora la paura me la tengo”.

Per don Giacomo “la Chiesa sta cercando di fare. In alcuni esempi del libro esce la Chiesa che non ci vede, in altri una Chiesa che ci vede”. Ma ha anche aggiunto: “i mafiosi non stanno alla pari con nessuno, stanno sempre sopra, anche sopra Dio”.

E rivolgendosi all’affollata platea di Trame 5 ha chiesto: “Chi deve combattere il prodigioso duello? Stiamo noi riempiendo la vita con la vita, o facciamo scorrere solo il calendario? Siamo pronti a scegliere di non andare ad un bar per non farci offrire il caffé da un mafioso? Perché anche noi la nostra parte vogliamo farla!”.

Panizza, poi, interpellato sul tema del perdono, affrontato sul suo libro, è stato chiaro: “il tema del perdono, da una parte nel testo lo tratto con faciloneria. Perché ho preferito lasciare il capitolo sul perdono alla interpretazione dei lettori. La faciloneria è dire perdono sì, perdono no. Il tema del perdono è grossissimo”.

Poi Panizza ha citato l’esempio della vedova Schifani, Rosaria Costa, quando ai funerali del marito, ucciso nella strage di Capaci, pronunciò queste parole: <>, aggiungendo a braccio: <>. La parola perdono –ha concluso Panizza- la capiremo quando saremo grandi”.

Sempre sullo stesso tema <> ha parlato l’altro ospite della serata, Roberto Mistretta, autore di un libro sul giudice Rosario Livatino , ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990, mentre senza scorta, a bordo della sua auto, si dirigeva verso il suo ufficio. “Mi colpì l’avvio del processo di beatificazione (21 settembre 2011) di Rosario, che oggi è Servo di Dio”, ha detto Mistretta, chiedendosi “Perché un processo di beatificazione verso un giudice? Non aveva nemmeno 38 anni -ha raccontato-, quando lo assassinarono”. Mistretta ha richiamato l’attenzione del pubblico di Trame sul fatto che “di mafia la Chiesa non parlava. Ma quando Giovanni Paolo II scese in Sicilia, nel maggio del 1993, qualcosa si mosse. Il Papa incontrò i genitori di Livatino. La mamma del giudice ucciso disse al Papa: <>. E Giovanni Paolo II, poi, tuonò così nella Valle dei Templi, ad Agrigento: <>. E’da quel momento che la Chiesa è contro la mafia. Mafia, che però risponde in due tempi –ha ricordato Roberto Mistretta-: il 15 settembre 1993, uccidendo don Pino Puglisi, nel giorno del suo 56° compleanno; e poi nel 1994 don Peppino Diana, nel giorno del suo onomastico, 19 marzo”.

Mistretta poi è stato deciso: “La Chiesa ha preso coraggio, perché il Papa ha segnato una netta linea di demarcazione tra ciò che è bene e ciò che non è bene; e la mafia non è bene”.

L’autore del libro ha fatto memoria di quando “Rosario Livatino scrisse su uno dei suoi diari che <>. Un giudice –ha detto- deve apparire credibile. E Livatino lo era. Di lui nessuno parla male, neanche i suoi assassini. Il suo assassino ha scritto al Postulatore della Causa di Beatificazione, chiedendo di incontrarlo per chiedergli perdono. Livatino non diceva nulla di nessuno, i suoi compagni di Liceo lo chiamavano , approfittando della sua bontà”.

Mistretta ha anche svelato alcuni aneddoti di Livatino: “il suo insegnante di Religione chiamava Rosario a spiegare l’argomento di cui si stava trattando, perché Rosario la Religione la sapeva meglio di lui. Amava ripetere spesso: <>. E ancora, di quando Livatino di fronte alla morte di un mafioso, sentendo un poliziotto dire <>, lo rimproverò”.

Avviandosi alla conclusione, Mistretta ha raccontato la storia del giudice Livatino, che “comincia a morire il 17 aprile 1990: una data importante, perché quel giorno come giudice a latere, emette delle condanne”… Da qui, Mistretta ha poi rievocato con dovizia di particolari l’omicidio del giudice Livatino.

Di Livatino ha ricorda anche che “un anno, nel giorno di ferragosto, sacrificando la giornata festiva, fece scarcerare con una richiesta di remissione in libertà una persona che doveva essere scarcerata”.

E in ultimo Mistretta ha detto anche che Livatino “è stato presente in spirito in un episodio di guarigione: una donna nel 1993 scopre di avere una leucemia all’apparato linfatico. Alla donna, nello stesso anno, appare in sogno una persona vestita con abiti sacerdotali, che le dice: <>. Tre anni più tardi, mentre la donna doveva essere sottoposta a radioterapia per i malati terminali, guardando un giornale, riconosce la foto della persona vista nel sogno: era Rosario Livatino, del quale si chiedeva l’avvio del processo di beatificazione”.

Antonio Cataudo