·

Psicologia e dintorni

L'eroina e quel "salto" nel mondo degli adulti

Lia Pallone · 4 anni fa

I diciotto anni sono solo formalmente la frontiera fra l'adolescenza ed il passaggio all'età adulta, da molti ragazzi attesi fortemente perché possibilità di libera affermazione di sé in contesti familiari eccessivamente protettivi o trascuranti e abbandonici . Un passaggio che si colora di istintuale trasgressione adolescenziale nel vivere quelle esperienze impossibili ed “al limite” che mettono alla prova il senso di onnipotenza dell'adolescenza, quel “io posso”, “io ce la faccio”, sostenuto da toni di sfida ma troppo spesso privo della necessaria consapevolezza dei rischi e delle insidie insite in pratiche malsane ma in voga. La festa del 18/mo compleanno, spesso, assume in sé la “trasgressione a tutti i costi”, è l'evento che segna l'eccezionalità di questo transito che deve restare a perenne memoria: bisognerà organizzare una festa fantastica e memorabile che non vedrà limitazioni, dalla ubriacatura fino allo stordimento, alla confusione espressa con un forte potenziale di inosservanza a tutte le regole, all'ilarità senza il fondamento gioioso e giocoso di una festa ma quasi esorcizzazione delle fragilità e delle inquietudini dell'età adolescenziale. Anche il “dono”, i “doni”, per il 18/mo dovranno essere unici, originali ed irripetibili, meglio se molto costosi, un'escalation di richieste: dal cellulare che deve saper far tutto, agli interventi di chirurgia plastica per avere nasi, seni e glutei perfetti, al volo dell'angelo perché è un' “emozione indecente”, alla dose di eroina perché sia chiaro che “non voglio e non ho altro di meglio da vivere”. Doni che svelano un latente stato di abulia, di intolleranza alla accettazione del proprio limite fisico e psicologico, alla obbligatorietà di doversi raccontare più coraggiosi, indomabili e potenti. Fatti di cronaca come la morte di Maria Chiara a Terni, uccisa da una dose di eroina (tagliata male o overdose?), regalo del fidanzato per i suoi 18 anni, lasciano sgomenti perché sintesi drammatica del “male di vivere” di alcuni giovani, anche quando appartengono a famiglie dedite a combatterlo, come i genitori di Maria Chiara, famiglie che si ritrovano ferite da destini quanto mai lontani dalle loro previsioni. Tuttavia, notizie di tale gravità si attutiscono e diventano bagaglio inascoltato nel sonno dei sentimenti che viviamo. Alla “rimozione collettiva” di queste atrocità contribuiscono spesso l'ossessione giornalistica dei mass media, facendo si che, i giovani in particolare, perdano la percezione della gravità di eventi come la morte di Maria Chiara, a volte, drammaticamente, tramutandoli in possibilità di protagonismo: pur nella constatazione che a lei è andata male, alcuni di essi si sentiranno autorizzati a chiedere regali come questo, per vivere esperienze come questa, certi, sempre “onnipotentemente” che a loro non succederà di morire. Una serie di domande si pongono sulla deriva dei valori e di quanto accada nella relazione genitori-figli, domande per le quali non bastano le risposte dei migliori dibattiti televisivi ma necessita una vera e propria “formazione alla genitorialità”, della quale i servizi dedicati alla salute delle famiglie non si occupano mai sufficientemente e nella cui sostanza anche il “tempo dedicato” ai figli, non solo in qualità ma anche in quantità, assume un ruolo di “dono” basilare e vitale.