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Le colonne d'Ercole

Il "Don Chisciotte" e le contraddizioni della nostra società

Tommaso Cozzitorto · 3 anni fa

Il "Don Chisciotte di Miguel de Cervantes è quanto di più moderno e attualizzante si possa leggere ai nostri giorni. Se si pensa che il romanzo è stato scritto nei primi anni del '600, possiamo cogliere pienamente la genialità dello scrittore nell'aver saputo costruire un progetto letterario dalle caratteristiche universali. Il "Don Chisciotte" interpreta la crisi dell'uomo nel corso della Storia e il suo adattamento culturale attraverso la parodia e l'ironia, riuscendo ad analizzare in modo profondo la tragedia esistenziale dell'umanità: la crisi del passaggio tra Rinascimento e Barocco, il tramonto della società cavalleresca, l'esasperazione deformante dei comportamenti del cavaliere/eroe, il quale, con il topoi del ridicolo, nega se stesso in modo ineluttabile. È una strada definitiva e senza ritorno, un naufragio in pieno oceano, narrati con lo stupefacente spirito critico del de Cervantes, in cui coraggio e senso del definitivo gli consentono di chiudere un'epoca storica e letteraria. Proprio per questo l'opera in questione è senza dubbio il primo romanzo moderno.
Rileggere il "Don Chisciotte" ti pone di fronte alle contraddizioni della nostra società ma soprattutto alla tragica consapevolezza di non essere capaci di leggere i cambiamenti e le trasformazioni per cui gli essere umani, oggi, rischiano di essere spettatori distratti e passivi di un periodo di crisi e di conseguenza di cambiamento. Il Cavaliere inesistente di Calvino, nel secolo scorso, già ci mette in guardia su tutto questo, nel contrasto tra la pesante armatura esteriore e il vuoto assoluto all'interno.
Don Chisciotte ha in sé sia la crisi di un mondo in disfacimento sia la crisi culturale dove l'arte che non cerca rinnovamento non può che essere una vuota parodia di se stessa, specialmente se il rinnovamento stesso risulta inavvertito.
Oggi rischiamo di prenderci tragicamente sul serio nella lotta contro i mulini a vento, e che la spada rimbombi sulla vuota armatura di un cavaliere inesistente, senza neanche un Sancho Panza a far da coscienza.