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Psicologia e dintorni

Coronavirus e quarantena, un “prendersi cura” a distanza

Lia Pallone · 3 anni fa

Non posso non ri-scrivere sul Covid -19 . Devo tornarci e questa volta anche da diretta interessata e, da madre, non nascondo avrei voluto contagiarmi io. Mio marito sente la stessa cosa.
Tuttavia, l'ho già scritto, l'invisibilità crea l'imponderabile e ciò è stato. Alla notizia si prova un profondo smarrimento, ineluttabile, e viverlo intensamente è necessario per recuperare la ragione e le forze che ti sono state tolte in un attimo.
Come tutte le notizie “traumatiche” ti lascia segni vicini e anche nel prossimo futuro.
Ma la domanda più urgente è se da familiare potrai essere vicina a chi hai nel cuore e, nel mio caso, ancora nel grembo. Potrò accudire? e come? o sarò impossibilitata a farlo perché anch'io contagiata? Dove accertarmi se sono contagiata o meno?
Recuperi così la ragione e inizi il tuo personale percorso verso l'accertamento più veloce, ancora tutti scettici sui risultati di esami sierologici e tamponi rapidi che, tuttavia, sono l'unica scappatoia per avere almeno degli indizi o meno di contagio. La sanità pubblica, in tal caso, è già nel caos pur se la volontà ferrea dei pochi operatori sanitari rimasti a spendersi senza sconti la conosco bene … davvero Angeli della sanità povera, quella che deve arrangiarsi ogni giorno col la propria indiscussa umana professionalità, utilizzando le scarse risorse che la onnivora sanità dei politici ha trascurato nel fornire loro mezzi e strumenti per le cure essenziali da erogare normalmente alle persone, specie a quelle meno abbienti.
Il tampone rapido ha un costo e non tutti possono pagarlo. Io sono già una fortunata.
Lo eseguo nella stessa giornata e sono negativa. Ora so che posso accudire mio figlio sapendo che sarà un “prendersi cura” a distanza, facendo scorta di pazienza che l'attesa della guarigione impone, dell'attenzione vigile ma scevra da ansie inutili e dal panico che potrebbero solo nuocergli, dell'amore che solleva da ogni impurità esistenziale che cerchi di ferirti. Mi approvvigiono di quanto di asettico mi serve in più di quel che si è utilizzato in casa finora ed inizio questa lotta per la guarigione.
Immediatamente si avvisano tutti coloro con cui siamo stati in contatto e gli incontri di umanità ma anche lo scoperchiarsi di ignoranze e di pregiudizi vanno affrontati:
senti che su te e la tua famiglia comincia a crearsi un alone di nube tossica al cui cospetto alcuni staranno ben attenti a non trovarsi mai più. Lo si sente nei toni e nelle domande per le quali non può esserci risposta …è invisibile, non si sa dove, come , quando contagi…qualsiasi domanda e risposte date sono fumo, restano nel limbo delle ipotesi che non potremo confutare mai.
Ed allora le domande sono altre…come stai?, cosa posso fare per voi?, chiama in qualsiasi momento…che non è una domanda ma una preghiera che porge le sue braccia generose. Ho ricevuto molta di questa generosità che ha annullato il vuoto esanime dei pregiudizi e sono grata .
Resta l'attesa della guarigione nella condivisione del racconto di questo personale momento critico che “Lamezia nuova” mi offre, non potendo non ribadire quanto già espresso nel precedente articolo e cioè che la più ricca eredità “morale” della sofferta epoca del coronavirus rimanga la “tutela del bene comune”, fra noi senza alcun potere ma soprattutto elemento asse e priorità del potere che gestisce la Sanità pubblica, finora consapevolmente distratta nel renderla “lentamente agonizzante”.