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Chiesa

Commento al Vangelo domenicale

Don Pino Fazio · 2 anni fa

Commento al Vangelo dell'ottava domenica del Tempo Ordinario (Lc 6, 39-45)

Gesù parlando ai discepoli e alle folle pone alcune domande nelle quali è già chiara la risposta: «può forse un cieco guidare un altro cieco?», «perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo?», «c'è albero buono che faccia frutti cattivi o viceversa?». Sono interrogativi che tendono a spronare il discepolo a rimuovere l'ipocrisia, l'empietà e quindi a purificare il proprio cuore: «dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie» (Mt 15,19). Nella Bibbia il termine “cuore” è usato come simbolo della stessa persona, ne indica la sua interiorità quindi i suoi pensieri, i sentimenti, i desideri, i progetti nascosti, le motivazioni profonde etc. Gesù afferma che «l'uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene», come l'albero buono produce frutti buoni: «la prima legge di un albero è la fecondità, il frutto. Ed è la stessa regola di fondo che ispira la morale evangelica: un'etica del frutto buono, della fecondità creativa, del gesto che fa bene davvero, della parola che consola davvero e guarisce, del sorriso autentico» (padre Ermes Ronchi). Ritornano così alla nostra mente le parole di san Paolo «tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri» (Fil 4,8), e la preghiera di San Francesco d'Assisi «Signore, fa di me uno strumento della tua pace, dove è odio, fa ch'io porti l'amore, dov'è offesa, ch'io porti il perdono, dov'è discordia che io porti la verità, dov'è disperazione ch'io porti la speranza, dov'è tristezza ch'io porti la gioia, dove sono le tenebre ch'io porti la luce». C'è un legame profondo tra il cuore e ciò che lo abita e il comportamento esteriore. Qual è il criterio per riconoscere il vero discepolo di Cristo? I suoi frutti. Si può recitare una parte anche di fronte a sé stessi, ma la testimonianza della vita parlerà da sola, non a parole, ma con i fatti.