Nel giorno del funerale di Papa Francesco, durante il quale il mondo interò gli tributerà l’ultimo saluto, ospitiamo un ricordo di questo Pontefice che ha attraversato la storia, scritto per la nostra testata dal giornalista Luciano Regolo, Condirettore del settimanale Maria con te e scrittore.

Nessuno è immune dalla paura della morte, eppure “attraversata la porta c’è la festa”. È il pensiero intenso, espresso nel suo solito modo semplice e diretto, da papa Francesco, all’udienza generale del 24 agosto 2022, l’ultima di un ciclo dedicato all’età senile. Ed è facile immaginarlo adesso in quella festa che evocava, visto l’amore e la dedizione totale con cui ha servito la Chiesa e il Popolo di Dio, fino allo stremo delle forze: un giorno prima del suo congedo da questa terra il 20 aprile, Domenica di Pasqua, ha voluto impartire la benedizione “Urbi et orbi” dal loggione della basilica di San Pietro dal quale si era presentato, 12 anni fa, il 13 marzo 2013, come il Papa “venuto dall’altro mondo”, presenziare alla lettura del suo ultimo, coraggioso messaggio, infine incontrare la folla dei fedeli, ancora una volta a bordo della papamobile. Le ultime parole che abbiamo ascoltato da lui, pronunciate con voce flebile, eppure piena d’amore, sono state: “Fratelli e sorelle, buona Pasqua a tutti”. Oggi suonano come un invito per sempre a vivere la Pasqua non solo nel giorno di festa, ma costantemente, nel quotidiano, da veri cristiani.

Se veramente si è amato questo Pontefice, che ha lasciato una traccia importante nella storia, insegnandoci che “con l’amore e non la guerra si cambia il mondo”, praticando risoluto la sua “rivoluzione della tenerezza”, e si vuole andare oltre le scontate, se non ipocrite esternazioni di cordoglio, come ha ricordato nel suo commovente messaggio il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, bisogna abbracciarne convinti l’eredità, assumersene la responsabilità, vivere la Pasqua nel concreto, con la coerenza delle scelte per migliorare la realtà che ci circonda, dai piccoli contesti fino allo scenario internazionale, senza “mai voltare lo sguardo” e abituarsi al male e alla sofferenza, come più volte il Santo Padre ha ripetuto. Bisogna “nascere e rinascere nella fede”, come disse l’8 giugno 2022, spiegando che non si tratta di un processo fisico, ma di una ” ‘nascita dall’alto’, che ci consente di ‘entrare’ nel Regno di Dio, è una generazione nello Spirito, un passaggio tra le acque verso la terra promessa di una creazione riconciliata con l’amore di Dio. È una rinascita dall’alto, con la grazia di Dio”.

Ed è questo il senso del vivere la Pasqua, cui ci ha costantemente spronato Francesco. Nella Messa in Suffragio per lui, presieduta a Milano, l’arcivescovo Mario Delpini, ha sottolineato: “Si può dire molto di papa Francesco. Questa sera credo che si possa dire semplicemente così: papa Francesco è un cristiano che ha fatto Pasqua e ha sperimentato il timore e la gioia grande e si è dedicato a sostenere la fede e la perseveranza dei fratelli” e ne ha ricordato con schiettezza il coraggio di rendersi “fastidioso e irritante per la sua parola che, in nome del Vangelo, ha proposto uno stile di vita, un’attenzione ai più poveri, un doveroso cammino di conversione. È stato fastidioso, però sono così i cristiani che fanno Pasqua. Lieti, timorosi, zelanti e irritanti”.

Parole che aiutano a cogliere nell’essenza la cifra spirituale del magistero di Francesco, convinto che la rinascita nella fede, comporta non solo il mettere da parte i propri egoismi, ma anche il non lasciar dominare quelli altrui. La sua difesa coriacea dei valori cristiani, in una realtà fortemente ideologizzata e segnata da una comunicazione tanto chiassosa quanto superficiale, è stata spesso etichettata come un orientamento “di sinistra”, ma il Vangelo non è né di destra, né di sinistra, risponde al comandamento dell’Amore senza confini, senza pregiudizi, senza se e senza ma. Per questo Francesco, con lo stesso piglio, si è opposto all’aborto (definendo “killer” chi lo pratica) o all’eutanasia (per lui espressione di una “cultura di morte”), ma anche all’indifferenza con cui si è lasciato che il Mediterraneo diventasse un’enorme “tomba” per migliaia di migranti, costretti a fuggire dal loro Paese per gli orrori e le violenze che vi si consumano o per il cinismo con cui si erigono muri o si creano aree di confino per fermare il flusso di profughi. E non a caso scelse proprio Lampedusa come meta del suo primo viaggio apostolico nel 2013, ma lo stesso messaggio ha voluto ribadire a Marsiglia, altro crocevia di popoli, dieci anni dopo.

La vita, ci ha insegnato, va difesa sempre e comunque, senza eccezioni, perché per Gesù non esistono gli “scartati”. Mettere questi ultimi, i poveri e i dimenticati di ogni genere al centro, è stato il cardine del suo Pontificato, fin dalla scelta del nome, quello del santo Poverello d’Assisi, che lo ha ispirato anche nella ricerca costante e convinta del dialogo con le altre confessioni, specialmente con i musulmani: la firma ad Abu Dhabi del Documento sulla fraternità umana per la Pace il 4 febbraio 2019 accordo siglato ad Abu Dhabi col Grande Imam di al-Azhar Ahmad al-Tayyib, coincise non a caso con l’ottavo centenario dell’incontro del santo, durante la quinta crociata, col Sultano Malik al-Kāmil. La logica del confronto e dell’ascolto in antitesi alla guerra, “una sconfitta per tutti”, rammentava sempre, ha animato Francesco a recarsi dall’ambasciatore russo all’inizio dell’invasione dell’Ucraina. Ma Francesco, che con una certa vena profetica, ci aveva messo in guardia dal pericolo di una “guerra mondiale a pezzi”, già all’inizio del suo pontificato, non ha attirato l’attenzione solo su questo conflitto o sulle vittime innocenti di Gaza, ha levato il dito contro tutti quelli che si consumano da tempo, nella quasi totale indifferenza, in molte aree della Terra: se ne contano ben 56 con un totale di oltre 162 mila caduti all’anno secondo il Global Peace index del 2024, dallo Yemen allo Sri Lanka, dall’Honduras al Mali, solo per menzionare qualcuno dei Paesi dove il frastuono delle armi continua a distruggere vite umane, o a “far prevalere il male”, per usare l’espressione del Papa.

La volontà di rompere questa quiescenza è stata alla base di quella “ecologia integrale” che ne ha animato il magistero: la cura, l’attenzione autentica per le persone e l’ambiente che abbiamo attorno in tutte le sue forme. Sempre col modello interiore di san Francesco che cercava il Creatore nel creato, ci ha lasciato 10 anni fa la Laudato si’, un’enciclica che ha contribuito enormemente alla sensibilizzazione e all’impegno concreto per arginare l’emergenza ecologica, praticamente la prima essendo stata già abbozzata la Lumen Fidei, del 2013, dal predecessore Benedetto XVI, di cui condivideva pienamente il pensiero che “Chi crede, vede; vede con una luce che illumina tutto il percorso della strada, perché viene a noi da Cristo risorto, stella mattutina che non tramonta”.

Artatamente c’è chi ha voluto rappresentare un rapporto conflittuale tra Bergoglio e il Papa emerito, ma, per quanto molto diversi per temperamento, tra i due ci fu una profonda unione spirituale e molte delle “riforme” introdotte da Francesco sono state nel solco tracciato da Ratzinger, “il nonno saggio” come lo chiamava, da cui andò spesso, umilmente, a chiedere consiglio e che, due anni fa, alla sua morte, celebrò, come “un santo che ha offerto fino all’ultimo la sua preghiera per la Chiesa”. L’amore per la Chiesa è forse il tratto comune più forte tra questi Pontefici, che li ha visti concordi, non da ultimo, nella lotta contro la pedofilia e gli abusi sui minori nell’ambito ecclesiastico, scegliendo la trasparenza e la verità, in luogo di un silenzio destinato a tradursi in complicità. Ratzinger fu il primo, morente Giovanni Paolo II, a denunciare la “sporcizia dento la Chiesa” nella Via Crucis del 2005, così come, appena eletto Papa, chiese di pregare per lui che doveva fronteggiare “i lupi”. Col medesimo spirito Francesco non ha esitato a parlare pubblicamente di chi sperava nella sua morte a ogni suo malessere, a levarsi contro il “chiacchiericcio e le calunnie” che uccidono.

Anche da qui, da questa spontaneità, il fastidio di cui ha parlato Delpini. E non meno fastidioso è stato il suo costante rammentare che i cardinali “non sono principi, ma servi di Dio”.

A chi, sotto sotto, anche tra i credenti, è convinto che certi valori cristiani, siano in realtà pie illusioni, ha replicato con un’altra enciclica fondamentale, Fratres omnes (2020), che indica nella fraternità universale, l’unica vera opportunità per cambiare un mondo che rischia di non avere più futuro e nel quale, come aveva drammaticamente dimostrato la pandemia, “nessuno può farcela da solo”. Quanto all’ultima, Dilexit Nos (2024), ci mostra con chiarezza il cuore, ossia l’anima, quale luogo in cui lasciarsi penetrare dall’amore divino, discernere il bene e rivoluzionare in positivo la realtà.

Non ha esitato a spronare i giovani ad “alzare la testa”, a far sentire la loro voce con chi vuole “rubare loro la speranza”, a essere “influencer di Dio”, come Maria che, giovanissima, col suo sì al Signore, totale e convinto, nonostante ai suoi tempi non esistessero i social, è rimasta giovane e modello di fede per sempre, capace con la gioia che provoca quest’amore di “alzarsi e andare in fretta” (parole del Vangelo di Luca scelte quale motto per la Gmg di Lisbona), per andare ad assistere l’anziana cugina Elisabetta. La speranza che non delude mai dà il titolo della Bolla con cui ha indetto il Giubileo alla cui fine assisterà dal Cielo, dandovi proprio questo tema, corollario della Misericordia del Cristo, che si è fatto crocifiggere per salvare chiunque lo ami.

Ai ragazzi ha ripetuto spesso l’importanza del dialogo e del confronto con gli anziani, per i quali ha fissato la giornata mondiale il 26 luglio, data della festa dei nonni di Gesù. E, sempre attento a dare voce ai fragili, ha stabilito anche quella per i bambini, celebrata per la prima volta lo scorso anno, con un messaggio forte per gli adulti: saper imparare da loro, da quella innocenza e genuinità sempre pronta all’abbraccio.

La vicinanza ai sofferenti e ai fragili l’ha mostrata in modo eclatante coi suoi messaggi dal Gemelli, durante il lungo ricovero dei mesi scorsi, nell’ultima visita ai detenuti del Regina Coeli il Giovedì Santo, ma anche presentandosi nella basilica petrina in poncho e pantaloni neri, senza papalina, nella sua reale umanità, anche questo gesto accolto con “fastidio” da una falange tradizionalista che sembra tanto lontana da quel Vangelo vissuto e amato fino all’ultimo respiro da Francesco.

Le parole del suo ultimo messaggio, per la pace, per la fine dei femminicidi e della violenza sulle donne (ogni primo gennaio, festa dalla Madre di Dio ci ha ricordato che chi le maltratta commette “un oltraggio a Dio, nato da Donna”), per una giustizia sociale e un lavoro che tuteli sempre la dignità, può essere ritenuto un manifesto ispiratore per chi desidera veramente coltivarne la memoria.

A lui, al suo esempio bisogna guardare anche per la difesa della legalità, basti ricordare le sue parole, nel 2014, a Cassano allo Jonio, dove andò dopo l’orribile omicidio, per vendetta mafiosa, del piccolo Cocò, o il plauso espresso alla Pontificia Academia Mariana Internationalis per la creazione al suo interno di un dipartimento per monitorare e ostacolare ogni tipo di influsso dei “boss” nelle processioni o in altri eventi religiosi.

Il suo insegnamento è stato prezioso anche per i giornalisti e gli operatori della comunicazione. Negli ultimi anni ci ha spronato a “consumare i tacchi” delle scarpe andando realmente nei posti e dalle persone di cui si scrive o si parla, senza pregiudizi o supponenze, ad “ascoltare col cuore”, perché mentre l’interlocutore si esprime non lo stiamo neppure a sentire, già concentrati su ciò che replicheremo noi, a “comunicare col cuore”, ossia con la consapevolezza dell’effetto che sortiremo e la ponderatezza delle nostre espressioni, e, infine, davanti ai rischi delle nuove tecnologie e dell’IA, a “non diventare cibo per gli algoritmi”.

Il magistero di Francesco, vero uomo di Pace, in tutte le sue variegate sfaccettature, può essere interpretato come una provvidenziale sveglia per tutte le coscienze, uno sprone a lasciarsi veramente avvolgere dalla luce del Risorto, magari rendendosi “fastidiosi” ma infilando la via della vita eterna e della gioia senza fine.

Luciano Regolo