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Lavoro e Sviluppo

Le “reti vuote” e la speranza per gli esclusi dal mondo del lavoro

Redazione · 10 anni fa

Il messaggio della conferenza Episcopale Italiana per il 1° maggio Le “reti vuote” di chi non riesce a far quadrare i conti. Di chi “non arriva alla quarta settimana”. Le “reti vuote” di chi non può progettare il proprio futuro. Le “reti vuote” di chi, dopo anni passati sui libri, si trova con le mani in mano e non può mettere a frutto le proprie competenze.

L’immagine evangelica di Pietro che incontra il Maestro mentre scopre che “per tutta la notte non ha pescato nulla”, viene ripresa nel messaggio della conferenza episcopale italiana per la giornata del lavoro del 1 maggio. Mentre i dati sulla disoccupazione giovanile sono in costante ascesa, in particolare nelle regioni meridionali dove più di un giovane su due è senza lavoro, i vescovi italiani invitano all’impegno e alla speranza: “nessuno, oggi, in questo momento, può tirarsi indietro” – scrivono i vescovi – “nessuno può scaricare la croce sulle spalle dell’altro, ma come Cirenei della speranza, chiediamo a tutti, come Vescovi della pastorale sociale, una particolare empatia, davanti ai tantissimi drammi sociali”

Quelle “reti vuote” vanno riempite e, come nella scena evangelica della pesca miracolosa, nelle parole di Gesù si colgono messaggi attuali, che suggeriscono ai cristiani e alla società come reagire in un contesto di emergenza occupazionale, come far arrivare il messaggio di speranza della Pasqua a quanti sperimentano sulla propria pelle il dramma della mancanza di lavoro.

Il primo messaggio che viene fuori dal racconto della pesca miracolosa è quello della formazione. Di fronte al dramma delle reti vuote di Pietro, Gesù - scrivono i vescovi - “non indica strade comode, risolutive, né, tanto meno, scorciatoie clientelari o sbrigative, ma si siede sulla barca e dalla barca insegna alle folle” comportandosi da “vero Maestro e autentico educatore”. Un’indicazione per l’oggi che, secondo la Cei, sta nel “puntare sulla qualità, sull’innovazione, sulla formazione, su un apprendistato che introduca realmente nel mondo del lavoro, con dignità”.

Il secondo passaggio è il gesto centrale del racconto evangelico, quello che permette il realizzarsi del miracolo della pesca: su invito di Gesù, Pietro “prende il largo” e “getta le reti”. Se la precarietà “scoraggia e delude” la risposta per i vescovi italiani sta nell’avere il coraggio di intraprendere, di “lanciare il cuore nella lotta quotidiana” con l’audacia della speranza e con il pragmatismo di chi sa che il tempo del lavoro che cade dal cielo è finito, così come quello del “vecchio” posto fisso. Intraprendere “è il verbo che dovrebbe uscire dalle nostre comunità cristiane, dalle nostre parrocchie”: l’invito è a “non tenere i denari alla posta o in banca. Ma investirli, guardare avanti, mettercela tutta, perché quei pochi soldi che oggi abbiamo non restino ammuffiti nella buca sottoterra della paura, ma diventino talenti preziosi, investi con coraggio e lungimiranza. Per il bene comune. Per il futuro dei nostri giovani”.

Una speranza possibile, dunque, un tessuto lavorativo da ricostruire “insieme”, come fanno i discepoli che chiedono aiuto all’altra barca per tirare su la rete stracolma di pesci. Cooperazione è il terzo messaggio della pesca miracolosa, un invito a portare avanti iniziative di sviluppo “insieme e mai da soli”, in uno spirito di fraternità “che risana dall’egoismo del possesso” e apre la visione imprenditoriale al bene comune e al futuro, oltre gli interessi immediati e dei singoli.

Ma ritorniamo alle “reti vuote” e all’insoddisfazione di Pietro e dei compagni per non aver pescato nulla. E’il fallimento di un impegno nel quale si era speso tanto, è l’amarezza di chi dice “chi me l’ha fatto fare”. E’il radicarsi di quel senso di impotenza che accomuna ormai due generazioni che per la prima volta staranno peggio dei propri genitori: la precarietà, l’impossibilità di trovare lavoro, addirittura lo scoraggiamento dei cosiddetti “neet” che non cercano e non hanno alcuna voglia di cercare.

E’una generazione di “esclusi” come la descrive Papa Francesco nell’Evangelium Gaudii, vittime di un esclusione che colpisce “l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati”, ma rifiutati, “avanzi!”

Dai vescovi non vengono proposte soluzioni tecniche, ma si parla di speranza. Una speranza che, è vero, viene da Dio, ma richiede lo sforzo dell’uomo, la sua creatività, la consapevolezza che se il lavoro non c’è in qualche modo bisognerà inventarselo. E’la speranza audace di chi come Pietro, deluso per le reti vuote, sostenuto dalle parole di Cristo prende ancora una volta il largo e torna a gettarle nel mare.