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Il Vangelo della domenica

Riflessione sulla III domenica del Tempo ordinario

Paolo Emanuele · 9 anni fa

L’inizio dell’attività messianica di Gesù coincide, dapprima, con l’attività di Giovanni Battista sul Giordano, e poi col suo arresto. Così Gesù entra “nel terreno” preparato da Giovanni e, nella nativa Galilea, comincia ad annunziare il Vangelo di Dio. L’Evangelista Marco ha annotato ciò che costituiva il nucleo stesso dell’insegnamento di Cristo: “Il tempo si è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15). Con queste parole, in certo senso “programmatiche”, Gesù, dopo aver ricevuto nel battesimo lo Spirito ed essere stato proclamato dal Padre “Figlio prediletto”, inizia il suo ministero. In esse è anche racchiusa, in sintesi, tutta la missione evangelizzatrice di Cristo Redentore. Tali parole sono simultaneamente una proclamazione e un invito, che interpellano l’uomo con urgenza e forza. Proclamano, anzitutto, la definitiva rivelazione nella storia umana del “Regno di Dio”, che nella manifestazione pubblica di Cristo si è fatto “vicino”, alla portata di tutti. In Cristo, infatti, nelle sue parole e nei suoi gesti salvifici e soprattutto nella sua morte e risurrezione, gli uomini possono essere salvati e diventare partecipi e protagonisti del Regno, che avrà la sua conclusione alla fine dei tempi. Trovano così compimento le antiche promesse e si realizzano tutte le attese degli uomini, che anelano ad un mondo più giusto e più fraterno e all’incontro con Dio, Padre e Salvatore. La conversione che Gesù esige è un vero rovesciamento, un passaggio dalla morte alla vita, dalla servitù del peccato al servizio di Dio e dei fratelli, dall’egoismo all’amore, dalla divisione alla comunione. è un cambiamento radicale che domanda un profondo e continuo mutamento di mentalità e di comportamento, ispirati all’insegnamento di Cristo e quindi ad un “nuovo” rapporto con Dio e con i fratelli. Tutto ciò significa che il Regno di Dio non è solo un “dono” da accogliere con fede, ma è un traguardo da conquistare e un impegno da vivere costantemente. Ciò richiede docilità allo Spirito e forte decisione, anzi una sorta di “violenza” interiore (cf. Mt 11,12; Lc 16,16), per andare contro corrente; uno sforzo continuo per misurarsi e adeguarsi alle esigenze evangeliche, traducendole in stile di vita. L’invito alla conversione richiede, inoltre, il distacco dal proprio egoismo e l’abbandono delle sicurezze sociali e dei falsi idoli che ostacolano il compimento del progetto di Dio e la consapevole adesione dell’uomo. Domanda soprattutto la sequela del Cristo per entrare in un rapporto di amicizia e di comunione con Lui e diventare suoi discepoli e quindi testimoni e annunciatori del progetto salvifico di Dio. Il messaggio della liturgia di questa terza domenica del Tempo Ordinario invita, dunque, a un più forte impegno personale di conversione a Cristo. Ciò richiede da parte di quanti sono già stati raggiunti dalla chiamata del Signore e sono diventati partecipi del Regno di Dio una rinnovata e più forte decisione a vivere con coerenza il loro rapporto personale con Dio; uno sforzo per superare le facili suggestioni del peccato e le ricorrenti tentazioni di antichi e nuovi idoli che allontanano gli uomini da Dio, rendendoli nemici o distanti tra loro; esige ancora un rinnovato proposito di seguire Cristo e diventare testimoni e collaboratori del piano di salvezza che Egli, nella Chiesa e attraverso la Chiesa, vuole portare ad ultimo compimento. La mentalità e il costume della società odierna non vi facilitano tutto questo. Le spinte dell’autonomia assoluta dell’uomo, l’indifferenza dilagante, la tendenza a prendere le distanze dai valori cristiani e dalla legge di Dio, il modo di pensare e di agire odierni non aiutano. Occorre, perciò, coraggio, buona volontà, sostegno da ricercare nella preghiera. La missione di Cristo è stata anche richiamata dalla missione profetica dell’antico testamento. Esiste un’analogia tra la sua missione e quella del profeta Giona, il cui brano viene riportato nella prima lettura. Giona era stato mandato a Ninive, una grande città, con un avvertimento da parte di Dio: “Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta” (Gn 3,4). Distrutta a causa della “condotta malvagia” (Gn 3,8) dei suoi abitanti. Giona esortava i niniviti alla conversione, in nome dello sdegno di Dio e della giustizia divina. E la sua esortazione fu accolta. Nell’annuncio di Giona è presente Dio, che premia il bene e punisce il male. Questa verità è la base di ogni ordine, religioso e morale. Essa è anche un’indispensabile introduzione al Vangelo, alla buona novella, ma non ne è ancora la pienezza. Giona operava quando ancora non era venuta “la pienezza del tempo”. Con la sua azione egli la preparava. Con Gesù il “tempo è compiuto” e il Regno di Dio si è reso vicino alla storia dell’uomo in Cristo crocifisso e risorto, e questo è un fatto compiuto ed irrevocabile. Però, la storia dell’uomo – delle persone e delle comunità, delle nazioni e delle società – può allontanarsi da questo Regno, può abbandonare quelle vie di verità, di cui parla il salmista: “Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri, guidami nella tua verità e istruiscimi, perché sei tu il Dio della mia salvezza, in te ho sempre sperato” (cf. Sal 25[24],4-5). Il peccato può spadroneggiare in essa sotto diverse forme. L’uomo può – invece di cercare la giustizia del Regno di Dio – organizzare la propria vita personale come se Dio non esistesse; come se il Regno di Dio non si fosse avvicinato e non fosse entrato nella storia di questo mondo. Tuttavia, “passa la scena di questo mondo” (1Cor 7,31). Passa da sola. Passa verso la morte, come ci insegna la quotidiana esperienza. Passa verso il Regno di Dio, come annunzia il Vangelo di Cristo. Proprio per questo esso è parola di vita. Di vita eterna.