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(Dia)logos

Tamarro, chi era costui!?

Francesco Polopoli · 3 anni fa

Il termine “tamarro” fa parte della stessa striscia sinonimica di “burino”, “zoticone”, “cafone”: eppure, nel tempo, ha subito un processo di degradazione semantica. Nella cultura e lingua araba, anticamente, ad esempio, il “tammar” non era altri che il mercante di datteri maturi e noi sappiamo quanto questo frutto fosse ben visto in tutta l'area semitica. La profetessa Deborah sedeva sotto una palma, da cui traeva ispirazione, per amministrare la giustizia (Gdc 4,5); mura e porte del Tempio di Salomone erano ornati con palme (1Re 6,29); durante la fuga in Egitto nel Vangelo apocrifo dello Pseudo Matteo (XX) la Madonna stanca del viaggio viene rifocillata dai datteri di una palma che si era piegata su di lei per un miracolo di Gesù; al suo ingresso in Gerusalemme Gesù viene salutato Re d'Israele dal popolo che agita rami di palma, simbolo di regalità (Gv 12,12-13). Potrei continuare con una mole ancor più significativa di esempi per dimostrare quanto questo richiamo botanico fosse buon foriero di bene, ma non è il caso di prolungarsi, perché credo che i luoghi succitati siano sufficienti per un'immediata idea di riferimento.
Quando si è involuto il significato originario di questa parola, fino a desacralizzarsi nel nocciolo della sua radice? Beh, da quando, a contatto con la Trinacria, ha acquisito il senso generico di “villano” – dal latino “villanus”, aggettivo riferito a colui che abitava nella “villa”, ovvero in campagna. Tacciati spesso (ed ingiustamente) di essere rozzi e poco istruiti, i contadini sono quindi diventati il fulcro di un'etichetta che, oggi, è arrivata persino a vestire i panni di un look riconoscibilissimo: grosse croci d'oro al collo o camicia sbottonata, lo dico da spettatori di sale cinematografiche, con un Verdone che ce li personifica altrettanto ironicamente. Dalla Sicilia, poi, grazie alla Scuola poetica siciliana, prima corrente letteraria a mettere in circolo un discorso linguistico in Italia, sono nati tutti i fratelli di questo termine che, con simpatia, li sottopongo alla vostra attenzione come famiglia di barbaparole, utilizzando un'espressione garbata dei nostri cari Barbapapà:
«tarro, zarro, zamone, gabibbo (ligure), coatto, burino (romano), maraglio (bolognese), tarpano (abruzzese), zurro (molisano), cojar (friulano), boaro (veneto), bacan (trentino), cuozzo (utilizzato nella città metropolitana di Napoli), zambro (brindisino), cozzalo, zampo, zagno (barese), cozzaro (tarantino), grezzo e ricottaro (in uso in provincia di Napoli e Bari), zambaro (calabrese), zallo e mazzaro (leccesi), tascio, gargio (palermitani), pignaloro (alcamesi), zallo (messinese), torpo (siracusano), zaurdu, cajordu e zambíru (in uso a Catania e provincia), zambro e zuefulu (in uso nell'area brindisina), gaggio, gaurro e grezzo gabillo (sardi), cuscio (nella zona del potentino), trappano (in diverse zone del Meridione)».
Come si vede, a vederne la genealogia storica, la base comune è buona, l'altezza, invece, è tutta alla rovescia, per non dire che qualche tipo di loro, a volte, tocca il fondo, ahinoi!
Che altro aggiungere!? Meno male che il reality show Tamarreide non ha avuto la fortuna sperata, disliked, fortunatamente: altrimenti, è vero che al peggio non c'è mai fine.