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Mater Ecclesiae

Santa Maria nella resurrezione del Signore

Don Giuseppe Fazio · 3 anni fa

Sant'Ignazio di Loyola negli “Esercizi Spirituali”, e precisamente nei numeri 218-225 invitava a meditare e a contemplare l'apparizione di nostro Signore Gesù Cristo, dopo la risurrezione, alla Vergine Maria. Riporto le sue stesse parole: «Il primo preludio è la storia. Qui è come, dopo che Cristo spirò in croce e il corpo rimase separato dall'anima e con esso sempre unita la divinità, l'anima beata, unita anch'essa alla divinità, discese agli inferi; da dove, dopo aver liberato le anime giuste ed essere venuto al sepolcro, risuscitato apparve alla sua benedetta Madre in corpo e in anima. Il secondo: composizione vedendo il luogo. Qui sarà vedere la disposizione del santo sepolcro e il luogo o casa di nostra Signora, osservandone le singole parti; similmente la stanza, il posto della preghiera. Il terzo: domandare quello che voglio. Qui sarà chiedere grazia per rallegrarmi e godere intensamente di tanta gloria e gioia di Cristo nostro Signore […]. Considerare come la divinità, che sembrava nascondersi nella passione, appare e si manifesta ora così miracolosamente nella santissima risurrezione, attraverso i suoi veri e santissimi effetti […]. Considerare il compito di consolatore che Cristo nostro Signore svolge, paragonandolo al modo con cui gli amici sono soliti consolare gli altri». Questa meditazione proposta da S. Ignazio porta il lettore a sperimentare la stessa consolazione e la stessa gioia provata dalla Vergine Maria nella risurrezione di Gesù che si sarebbe riversata nel mondo intero. In effetti la madre di Gesù gioiva pienamente perché, tenendo fede alle promesse di Gesù, era sicura che la gioia pasquale si sarebbe diffusa su tutta la Chiesa. Infatti il prefazio della S. Messa nr. 15 della “Collectio Missarum Beatae Mariae Virginis” (1986) attesta: «Nella risurrezione di Cristo tu hai colmato di letizia ineffabile il cuore della Madre, ed hai mirabilmente esaltata la sua fede: la Vergine Maria che credendo concepì il Figlio, credendo attese intrepida la vittoria pasquale. Forte di questa fede guardò al giorno radioso, in cui, dileguate le tenebre della morte, una luce gioiosa avrebbe inondato il mondo intero, e la Chiesa nascente avrebbe contemplato con trepida esultanza il volto glorioso del suo immortale Signore». Gesù nel vangelo dichiara: «La mia gioia sia in voi, e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11): il tempo pasquale è la riscoperta della gioia cristiana alla luce della Risurrezione, con l'aiuto della Vergine Maria, nostra madre, che possiamo definire madre della vera gioia perché ci ha donato Gesù che è pienezza di amore e di gioia. Sant'Agostino affermava che per il cristiano la gioia è un dovere perché è frutto dell'amore di Gesù. Chi ama è gioioso perché realizza sé stesso in quanto creato per amare. La gioia della fede e quindi nella Risurrezione, che è il centro della fede, è un dono gratuito che il Signore concede a tutti i cristiani e anche se Dio dovesse turbare la gioia del cristiano, diceva Alessandro Manzoni, lo farebbe solo per preparare una gioia migliore, più intensa. Il cristiano, pieno di gioia predica anche senza predicare, diceva madre Teresa di Calcutta. E' bene anche ricordare la famosa espressione del filosofo Nietzche che rimproverava ai cristiani di «pretendere di essere dei salvati, e di averne cosi poco il comportamento» (J. Leclercq, Croire en J. C., p. 21). Paolo VI nell'udienza generale del 17 aprile 1968 proclamava che «la vita cristiana non può essere senza gioia. Se lo svolgimento della vita cristiana comprende altre note, altre lezioni che quella della gioia (comprende la croce, la rinuncia, la mortificazione, il pentimento, il dolore, il sacrificio, ecc.), non è però mai priva d'un conforto, d'una consolazione profonda, d'un gaudio, che non dovrebbero mai mancare, e non mancano mai quando le nostre anime sono in grazia di Dio. Quando Dio è con noi possiamo forse essere del tutto tristi? possiamo essere amari e disperati? No: la gioia di Dio dev'essere sempre, almeno in fondo, una prerogativa dell'anima cristiana». Quindi il Papa invitava la Chiesa a esultare di gioia con l'esclamazione della liturgia pasquale “Alleluia!”, che significa “lode a Dio”: «È un grido religioso, che ci viene da un antichissimo uso ebraico, registrato nella Sacra Scrittura, e diventato abituale nel linguaggio liturgico della Chiesa per esprimere la gioia di lodare il Signore, specialmente nel tempo pasquale. È diventato una acclamazione di giubilo, che più intende esprimere un vivace sentimento di letizia, che una parola avente un senso determinato; come dicessimo, in linguaggio moderno: evviva! hurrah!». San Paolo predicava la dimensione di gioia nella fede a tutti i cristiani da mantenersi in ogni avvenimento, in ogni quadro della storia e dell'esperienza, perché il Signore, con la potenza della sua Risurrezione, trionfa sempre: «tutte le cose si risolvono in bene per coloro che vivono della benevolenza di Dio» (cfr. Rom. 8, 28).