In occasione della giornata mondiale per la medicina di urgenza, abbiamo conversato con Carmen Filice,  giovane infermiera che come primo incarico professionale si è ritrovata ad operare nelle acque di Lampedusa

Cosa ti ha spinto a vivere la tua prima esperienza di lavoro autonomo nell’ambito dell’emergenza

Sin dal tirocinio universitario, ho sentito la realtà ospedaliera un po’ stretta per me. Nel 2013, molti anni prima di pensare di iscrivermi al corso di laurea in infermieristica, ho iniziato a fare volontariato nel Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta – CISOM e nel 2021 ho partecipato a missioni di soccorso in mare nell’ambito SAR. È passato quasi un anno da quando ho iniziato questa esperienza e sono felice di aver fatto questa scelta: vivo un’altra “faccia” dell’infermieristica, un’altra operatività che spesso non viene mostrata agli studenti. È tutto un altro modo di lavorare perché a disposizione non hai un ospedale, fatto di decine di uomini e donne con diverse professionalità, con possibilità di esami chimici e strumentali per arrivare alla diagnosi, con decine di farmaci per poter iniziare una terapia.

 

E soprattutto come lavorano insieme medico e infermiere

In mezzo al mare siamo io e il medico, con le nostre conoscenze, la nostra collaborazione e con l’obiettivo di dare il massimo con il minimo. Quando sei impegnato in un’operazione di soccorso in mare a bordo dei mezzi della Guardia Costiera sei concentrata in ciò che devi fare per salvare vite. Devi dare sempre il massimo. Il nostro compito durante gli interventi di soccorso in mare è di fornire una primissima assistenza sanitaria in mare a chiunque dovesse averne bisogno. L’ambito SAR, search and rescue, spazia su decine e decine di scenari diversi, che spesso si ripresentano in modo ciclico in base alle stagioni. Trovare la giusta sintonia col collega è essenziale in un lavoro come il nostro, guardarsi e capirsi al volo è importante!

E quando arriva quella “chiamata” di pronto intervento…

Noi lavoriamo su turni fissi e reperibilità. Capitano le telefonate nel cuore della notte, quelle che ti fanno sobbalzare dal letto e in 10 minuti ti fanno correre a bordo della motovedetta. In macchina iniziamo a farci le prime domande, a pensare a possibili scenari su cui potremmo operare, a confrontarci su come agire in una o in un’altra situazione. L’agitazione iniziale è normale, anche dopo decine e decine di volte! Siamo professionisti della salute e proprio per questo il nostro obiettivo è quello di mettere al primo posto la nostra professionalità a tutela della vita umana

Riesci sempre a far emergere l’umanità?

È impossibile nascondere le emozioni al termine di un soccorso. È propria dell’infermiere l’empatia: immedesimarsi nell’altro, far vedere un sorriso da dietro una mascherina, gonfiare un guanto per giocare con un bambino. Quando ci assicuriamo della salute delle persone che ci vengono affidate, non pensiamo solo ai parametri vitali o ad una medicazione… nel nostro piccolo cerchiamo di approcciare con l’altra persona con l’obiettivo di mettere al centro l’essere umano è il concetto di salute. Seppur percorriamo insieme poche miglia, alleviare quelle ultime ore prima di giungere sulla terra ferma seguiti da un “grazie” (ciascuno nella propria lingua) è ciò che a fine turno ci fa pensare che nulla è vano!

Don Francesco Farina