Il Vangelo di questa terza domenica di pasqua si presenta come un racconto unitario sulle condizioni di vita del discepolo, nei tempi e negli spazi della storia e del mondo. Sette discepoli, dopo la delusione della croce, su invito di Simon Pietro vanno a pescare (il numero sette ci rimanda al contesto universale). Insuccesso pieno in quella notte, senza Gesù, che è la luce (cf. Gv 9,4).


Gesù si presenta sulla riva, all’inizio della luce del giorno, non riconosciuto dai discepoli, che stavano rientrando dalla pesca sfortunata. Gesù li invita a gettare la rete sul lato destro (c’è sicuramente un richiamo a Ezechiele 47 in cui si parla del tempio la cui facciata era verso oriente e dal lato destro usciva acqua che aveva il potere di risanare le acque del mar Morto e rendeva abbondante la pesca). La rete trabocca di pesci (viene utilizzato lo stesso termine presente in Gv 5,3 per indicare il gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici che cercavano guarigione nella piscina di Siloe). La sovrabbondanza diventa segno dell’efficacia della missione affidata da Gesù ai discepoli e quindi della sua presenza divina e salvifica.
Simon Pietro riconosce Gesù dopo che un discepolo anonimo (Giovanni) lo indica con l’espressione: «È il Signore!» (Gv 21,7). L’atteggiamento di Pietro diventa ambiguo perché si cinge da solo la camicia (è usato un termine che indica un gesto di servizio; si trova in Gv 13, 4: la lavanda dei piedi) e si getta in mare (come per nascondere la sua non-fede, c’è un riferimento implicito a Genesi 3, 10: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto», e a Mt 14,29-31: «Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù»).
Gli altri discepoli arrivano con la barca a riva, dove Gesù teneva già pronto un pasto di pane e pesce. A questo cibo Gesù chiede ai discepoli di aggiungere del pesce appena pescato. Simon Pietro uscito dall’acqua tira a riva la rete con 153 grossi pesci (numero che deriva dalla somma delle consonanti di “’Eglayim”, fonte sul Mar Morto meridionale; c’è un riferimento a Ezechiele 47, 10: «Sulle sue rive vi saranno pescatori: da Engaddi a En-Eglayim vi sarà una distesa di reti. I pesci, secondo le loro specie, saranno abbondanti come i pesci del Mar Mediterraneo»), segno dell’efficacia della missione, sorprendente anche in ambiente inospitale.
La rete non si spezza, come la tunica in Gv 19, 24. Ciò indica l’unità delle differenti comunità cristiane, in rapporto a Gesù risorto, riconosciuto nel dono dell’Eucaristia. Gesù dona ai discepoli il pane e il pesce con i gesti di chi presiede alla mensa, come già avvenuto nell’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci (cf. Gv 6,11).
Nel successivo dialogo tra Gesù e Simon Pietro si illustrano altre condizioni del discepolato. Dapprima Gesù riabilita Pietro (cf. Gv 21, 15-17), che lo aveva rinnegato tre volte, attraverso una triplice professione di fede. Pietro comprende l’atteggiamento personale di servizio che deve assumere in tutta la sua vita, come continuazione di quello di Gesù, che è il solo “pastore” (cf. Gv 10,11: «Il sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore») e in vista dell’esercizio della responsabilità comunitaria sugli altri credenti. La vita cristiana è un cammino comunitario ma, contemporaneamente e inscindibilmente, è un legame personale con il Maestro, è un legame d’amore. Pietro è stato scelto per divenire Pastore universale non in virtù di qualche sua particolare grandezza o virtù personale, ma in virtù di un amore più grande verso il Maestro. Colui che è chiamato a diventare Pastore come requisito fondamentale deve avere un amore senza limiti verso Gesù: “Simone di Giovanni mi ami tu più di costoro?”. La Chiesa si costruisce soprattutto su questa relazione personale d’amore, come pure l’autorità pastorale poggia sullo stesso presupposto. Quando l’autorità è maggiore, deve essere maggiore in proporzione anche l’amore verso Gesù, che porta il vero discepolo fino al dono totale di sé stesso.

Don Pino Fazio