Cento anni fa nasceva don Saverio Gatti, un sacerdote che ha lasciato un indelebile ricordo in chi lo ha incrociato lungo la sua strada ma, soprattutto, nei giovani del tempo che, amorevolmente, lo hanno seguito fino a quel 14 febbraio 1983 quando ritornò tra le braccia del Padre dopo quasi cinque anni di sofferenza. Anni durante i quali don Saverio non ha smesso il suo apostolato, soprattutto tra le giovani generazioni alle quali rivolgeva uno sguardo particolare perché “i giovani – annota nel suo diario – sono la speranza del domani. Bisogna avere fiducia nelle loro possibilità e nelle loro capacità. Sarebbe tanto bello camminare insieme”.
Di don Saverio, infatti, oltre al ricordo personale di ciascuno, rimane anche un diario che racconta l’ultimo anno della sua vita da cui traspare il volto umano di un sacerdote che, come scrive monsignor Ferdinando Palatucci nella prefazione al diario, per più di quattro anni dalla scoperta della sua malattia, “ha continuato a vivere, a lavorare, a donarsi; ha camminato con la morte, che andava lentamente disfacendo il suo corpo […]. La sofferenza ha bruciato quanto poteva essere ombra e la fede nel Signore è divenuta limpida, assoluta, anche se sofferta. In questi anni di purificazione, don Saverio ha continuato a testimoniare a tutti la comprensione e l’amore del Padre. Ha vissuto in un impegno di annullamento dei propri desideri, delle proprie aspirazioni, per conformarsi, in adorazione, alla volontà di Dio. Ha scoperto profondamente le beatitudini ed ha cercato di conformare ad esse la vita”.
Il racconto dell’ “itinerario di un anno di vita che – scrive monsignor Vincenzo Rimedio nella presentazione del diario – è emblematico dell’avventura spirituale vissuta precedentemente dal Sacerdote di Dio e degli uomini” e che trova il suo incipit nella prima pagina di quello che può essere definito il testamento spirituale di don Saverio laddove chiede al Signore per il nuovo anno “che mi aiuti decisamente a diventare piccolo per conoscere la profondità del Suo mistero. Sento ogni giorno di più la mia debolezza e la mia povertà – annota don Saverio – . È forte il desiderio di morire per il superamento della mia negatività: poi scopro che bisogna morire a sé stessi per trovare la gioia di vivere per il Signore e per il servizio amoroso di ogni persona che cammina con me sulla strada […]. Vorrei che nessuno soffrisse per causa mia, per incomprensione e per apprensione: che ogni persona possa trovare, attraverso la mia misericordia e la mia povertà, la paternità luminosa del Signore. È difficile liberarsi delle proprie schiavitù, perché si è restii a lasciare le diverse sicurezze accarezzate lungo tutta una vita. Tu sei il mio pastore, non manco di nulla. Come è pesante credere in questa verità così liberante, nei momenti di incertezza, di ansietà e di sofferenza”.
Un sacerdote, quindi, che ha abbracciato la sofferenza cercando di rispondere al desiderio di Dio e che, nel contempo, guarda agli altri, al suo prossimo, alla Chiesa che tanto ha amato e che, in quello che, di fatto, è il suo ultimo anno di vita, chiede di innamorarsi della Madonna: “Lungo la mia vita – scrive don Saverio il primo gennaio 1982 – è stata all’ombra delle mie cose. Desidero che diventi la mia mamma che accompagna costantemente il cammino della mia specifica vocazione”.
Come sarebbe bello se chi lo ha incrociato lungo il suo cammino di vita, possa anch’egli innamorarsi realmente della Madonna!
Sarebbe questo il segnale che la sua vita ha tracciato un solco indelebile in ciascuno di noi.